L’angelo, almeno quello della tradizione biblica e mediterranea, ha avuto una sorte a dir poco contraddittoria: è vuoi ministro di Dio e latore dei suoi messaggi, vuoi colui che è capace di trasformarsi in nemico di Dio come mostra la vicenda di Lucifero o Iblis (il Satana del Corano); è sia custode e guardiano degli uomini, sia inopinato protagonista di azioni scellerate, come avviene nella storia di Harut e Marut di matrice ebraica ma con notevoli sviluppi islamici e cristiani, due angeli seduttori e corruttori capaci di vendersi persino il “nome segreto” di Dio pur di poter godere delle grazie delle “figlie degli uomini”… Una prospettiva interessante è aperta dall’analisi del rapporto tra gli “angeli ribelli”, che seguirono Lucifero, e le variegate figure di spiritelli elfi fate che popolano l’immaginario e la letteratura (colta e popolare) di tutta la vasta area delle culture indo-me-diterranee. Secondo una curiosa esegesi, che trova degli addentellati anche in un passo della Commedia (nell’Antinferno, canto III), gli “angeli ignavi”, ossia quelli che non si ribellarono a Dio ma pavidamente neppure si schierarono dalla sua parte, furono pure puniti e cacciati dal paradiso; solo, la loro colpa essendo in qualche modo minore, essi non cadono nel profondo degli inferi, bensì si fermano prima: negli strati intermedi, aerei o terreni, assumendo le fattezze di fate elfi e spiritelli. Queste figure, che costituiscono se si vuole una seconda categoria di “angeli caduti”, sono diffuse in tutte le letterature e le culture popolari europee, e hanno i loro equivalenti nei jinn della tradizione araba e nelle peri di quella persiana (destinate quest’ultime a penetrare nelle letterature europee dell’800). La riflessione ultramillenaria sulla figura dell’angelo caduto nei suoi vari aspetti ci mostra come di volta in volta esso sia stato l’immagine-emblema di un oscuro dramma dei primordi, dietro cui si intravedono immense questioni etico-teologiche (il problema dell’origine e del senso del male); il mitico protagonista di uno straordinario atto di ribel-lione al “tiranno celeste”, che diventerà in certi autori (da Milton a Camus) figura eroica della libertà umana; il simbolo di ogni possibile tentazione o ossessione (si pensi a certi autori del romanticismo francese), e persino del lato oscuro e più incontrollabile dell’anima umana. Ma forse già ‘Attar, poeta mistico persiano del XIII secolo, l’aveva intuito quando diceva ai suoi discepoli e lettori: “Sei tu l’Harut di te stesso…”.