Fin dal suo concepimento, e in tutte le fasi della sua realizzazione, Transmutatio ha inteso far proprio l’invito che Virgilio estende a Dante perdutosi «nella selva erronea di questa vita»: «A te convien tenere altro viaggio, / […] / se vuo’ campar d’esto loco selvaggio». Settecento anni più tardi, non si può dire che il «loco» che ancora abitiamo sia meno selvaggio di un tempo. Ben altrimenti spoglio di selve, questo sì; ma proprio nelle sue devastate fattezze il «loco» preposto a nostra dimora viene a mostrarci il volto vero di ciò che chiamiamo “selvaggio”: l’inesplorato, recondito volto dell’umana ferocia. È questo il «gran diserto» dal quale occorre scampare; è questa la prima materia che si rende necessario trasmutare. Da sempre. Con misericordia. E dunque tenendo «altro viaggio».
Si apre così, per via dell’inflessione “ermetica” propria al discorso che in queste pagine si svolge, uno spazio centrale condiviso dai testi qui accolti e dagli autori che li hanno scritti. Nel suo insieme, Transmutatio traccia un percorso che aspira a ritornare su se stesso, a ricongiungersi con la propria origine, nella speranza di portare se stesso e quell’origine al loro reciproco incontro, e mutuo compimento. È a partecipare di tale spazio, di tale versante interno del pensiero, che è invitato il lettore per farsi a sua volta, di quello spazio, pellegrino ed esploratore.